×

Chi Siamo

Catalogo

Eventi

Rassegna stampa

Approfondimenti

Docenti

Foreign Rights

Autori

         

Un calcio al potere. Gioco e lotta sociale indice e introduzione

Un calcio al potere. Gioco e lotta sociale

Kuhn

PROSSIMA USCITA
lun 01 dic 2025



Alla fine del 2010 mi trovavo in Germania, seduto al mio stand in una fiera dedicata ai media. La mattina del secondo giorno l’affluenza di visitatori era piuttosto esigua, così mi sono trovato a chiacchierare con un amico argentino che aveva anche lui uno stand a pochi passi dal mio. In una trentina di minuti scarsi abbiamo passato in rassegna parecchi temi: anarchismo vs. comunismo, il movimento autonomo tedesco, la crisi generale della sinistra, il futuro dell’editoria radicale, eccetera. Finché a un certo punto non abbiamo cominciato a parlare di calcio e… tre ore dopo l’argomento era sempre quello. Abbiamo discusso del Mondiale maschile in Sud Africa, delle federazioni corrotte, della cultura ultras in Europa e in Sud America, dell’origine dei nostri club preferiti e di molte altre questioni scottanti come i più grandi miracoli sportivi, i gol più belli, le peggiori decisioni arbitrali della storia. Alla fine, nonostante fossimo ben lontani dall’aver esaurito gli argomenti, abbiamo dovuto liberare le persone che ci avevano tenuto lo stand.
Ecco, questo libro è stato pensato per due tipi di persone: quelli che si ritrovano continuamente invischiati in discussioni del genere e quelli che non riescono proprio a capire come sia possibile che delle persone impegnate politicamente possano amarle così tanto. Lo scopo è quello di fornire una rassegna dei nessi che legano il calcio alla politica radicale – ovvero quella politica, per intenderci, che ambisce a un cambiamento fondamentale della società che possa dar luogo a una comunità di individui liberi e uguali – ponendo l’attenzione su tre aspetti: 1. le varie espressioni di politica radicale fra i professionisti; 2. la politica radicale nella cultura ultras; 3. l’ambiente calcistico underground e l’eco che ha avuto nel mondo.
Sul piano personale, le ragioni per scrivere questo libro erano molto chiare. Era da una vita che cercavo di far conciliare la mia inestirpabile passione per il calcio con le mie convinzioni politiche.
Nel 1987, all’età di quindici anni, ero parte della rosa dell’FC Kufstein, una squadra semiprofessionistica che militava nella seconda serie austriaca. In quella stagione il club avrebbe raggiunto il suo più grande successo sportivo. Io ero seduto in panchina quando una vittoria per 2-1 contro l’FC Salzburg ci aveva garantito l’accesso ai play-off per giocarci la promozione in prima divisione. Alla fine saremmo stati eliminati, dopo aver perso contro l’Austria Salzburg e una futura squadra da Champions League come lo Sturm Graz, ma quelle settimane furono veramente indimenticabili.
Nonostante fossi felice dello status che mi ero guadagnato fra i miei compagni nel calcio semiprofessionistico e nonostante i viaggi per il paese, i ritiri in Italia, i giorni di scuola saltati, passarono appena due anni prima che decidessi di mollare il calcio, subito dopo la maturità. In quel momento la mia prima passione era diventata la politica radicale e molte delle mie convinzioni andavano tutt’altro che a braccetto con quel mondo, almeno per come l’avevo conosciuto: competitività, sessismo, razzismo, omofobia, autoritarismo degli allenatori, avidità degli sponsor, presidenti corrotti, politici meschini. Eppure sarei tornato al calcio appena sei mesi dopo, non appena mi resi conto che da studente era più divertente guadagnarsi da vivere come giocatore, piuttosto che servendo ai tavoli.
Quando ricominciai a giocare regolarmente con l’FC Kufstein avevo diciotto anni e speravo di poter attirare l’attenzione di un club di prima divisione: dopotutto, la mia fascinazione per la guerriglia rivoluzionaria, le occupazioni e la teoria anarchica non avevano dissipato il mio vecchio sogno di diventare un giocatore professionista. Come spesso accade in questi casi, però, l’anno successivo arrivò un nuovo allenatore e le cose cambiarono in fretta. Mi presentai in ritardo dopo le vacanze estive, fui messo in panchina per «mancanza di costanza», me la presi con il nuovo staff e invece di lottare per il mio posto in squadra cominciai a presentarmi agli allenamenti solo per poter ritirare lo stipendio. Nell’estate del 1992, dopo tanto chiacchierare su possibili contratti, commissioni e cartellini, avrei lasciato il calcio semiprofessionistico per sempre. Giocai ancora due anni nei campionati minori, giusto per divertirmi e tenermi in forma, finché nel 1994 non mi trasferii negli Stati Uniti, dove mi sarei dedicato soprattutto alla pallacanestro.
Nei dieci anni successivi ho viaggiato molto, partecipando a partitelle improvvisate in tutto il mondo, dall’arcipelago delle Vanuatu al Sud Africa. Ho guardato partite di calcio in ogni dove – in un casotto di lamiere in Burkina Faso, nel più anonimo dei motel cinesi, a casa di amici attivisti in Nuova Zelanda – ma dei miei trascorsi da aspirante professionista non ne ho fatto parola praticamente con nessuno. Come se fosse un periodo della mia vita ormai morto e sepolto, qualcosa che dovevo giustificare, piuttosto che ostentare, e che non aveva nessuna rilevanza per la versione più adulta e matura di me stesso.
La verità, però, è che gli anni trascorsi dietro al pallone hanno avuto un impatto profondo sulla mia personalità, sul mio rapporto con gli altri, sulla mia visione del mondo. La famosa frase di Camus, «tutto quello che so sulla moralità e sui doveri degli uomini lo devo al calcio»1, ha per me un grande significato. Se escludiamo gli affetti personali (la famiglia, gli amici, l’amore), le emozioni più forti che abbia mai provato nella vita sono legate al gioco: la gioia e il piacere, ma anche la delusione, l’imbarazzo, la sensazione di essere stato raggirato o tradito. Il calcio ha sfatato molti dei miei miti, per esempio quando mi è capitato di giocare assieme o contro i giocatori della nazionale austriaca, gli eroi della mia adolescenza. Mi ha insegnato a lavorare con gli altri per raggiungere un obiettivo comune, anche quando di cose in comune ce n’erano ben poche. Il calcio mi ha mostrato quanto bugiarde e disoneste possano diventare le persone quando rimangono accecate dal denaro e dalla fama. Ha affinato la mia consapevolezza di classe, essendo cresciuto in un contesto familiare fatto di artisti e non di proletari, contrariamente ai miei compagni di squadra. Il calcio mi ha insegnato cosa fossero i rapporti di lavoro, quando a fine allenamento lasciavo che a lavare i miei panni sporchi fossero dei lavoratori sottopagati. Il calcio ha modellato il mio senso d’appartenenza, avendo giocato per le giovanili di casa, in Tirolo, nella provincia dove sono cresciuto. Dopodiché, come sappiamo bene, c’è anche l’aspetto irrazionale: la passione che sviluppiamo da ragazzini e che non perde mai di vigore, a prescindere da quanto possa sembrare patetica se osservata da fuori e da quanto spesso ti conduca ad azioni che sembrerebbero impossibili in qualsiasi altra circostanza, come ritrovarsi abbracciati a dei turisti inglesi ubriachi e a dei tifosi thailandesi sfegatati sulla Khaosan Road di Bangkok alle cinque del mattino, dopo che all’ultimo minuto il Manchester United era riuscito a ribaltare la finale di Champions del 1999 contro il Bayern Monaco. C’è pure chi ha raccontato di peggio, del resto. In una intervista, Toni Negri ha confessato che l’unica volta in vita sua a essersi mai abbracciato con dei poliziotti2 è stato il giorno in cui l’Italia ha vinto i mondiali nel 1982. La stessa cosa è stata detta anche da alcuni prigionieri politici argentini sulla vittoria ai Mondiali del 19783. Eppure, come ha detto Claudio Tamburrini, il portiere argentino autore di Crónica de una fuga, all’epoca in galera: «Lo sport è una grande arma politica e non dovremmo mai riporla nelle mani del nemico»4. Ecco, sarebbe fantastico se questo libro potesse dare il suo piccolo contributo a questa missione.
Il corpo principale del libro che state per leggere proviene dal mio Anarchist Football (Soccer) Manual, scritto nel 2005 e pubblicato dalla Alpine Anarchist Productions. Il testo è stato aggiornato e modificato sensibilmente, ma la sua anima da «prontuario» è rimasta inalterata: l’idea è quella di fornire informazioni concise su diversi aspetti del mondo del calcio in modo tale che possano essere d’interesse per i tifosi di sinistra. Alcuni di questi aspetti vengono approfonditi in modo più accurato attraverso articoli, saggi e interviste. In parte si tratta di testi dimenticati o difficili da reperire, in parte di traduzioni proposte per la prima volta in italiano o di contributi originali pensati per questo libro. L’Epilogo rivolgerà l’attenzione ad alcuni sviluppi importanti, dal momento che la prima edizione risale al lontano 2011.
In conclusione posso solo ricordare il mio enorme debito verso tutte le persone che hanno reperito i materiali necessari, prestando il loro sostegno decisivo a questo mio progetto.


Note all’Introduzione

1. Tom Clark, Camus, Zidane and Absurdity of Football, «Tom Clark: Beyond the Pale», 13 giugno 2010, <http://tomclarkblog.blogspot.com/2010/06/camus-zidane-and-absurdity-of-football.html>.
2. Renaud Dély, Rico Rizzitelli, Football and Class Struggle: Interview with Toni Negri, «Libération», 7 giugno 2015, <https://libcom.org/article/negri-football-and-class-struggle>.
3. John Turnbull,  A Soccer Player’s Escape From Argentina… Into Philosophy, «The Global Game», <https://web.archive.org/web/20080914163855/http://www.theglobalgame.com/blog/2008/08/a-soccer-players-escape-from-argentina%C2%A0-into-philosophy/>.
4. Claudio Tamburrini, The Right to Celebrate, «Idrottsforum», 6 giugno 2006, <http://www.idrottsforum.org/features/tamburrini/tamcla_argentina.html>.