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Memorie di un rivoluzionario primo capitolo

Memorie di un rivoluzionario

Kropotkin

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mer 15 ott 2025

I


Il Vecchio Quartiere degli Scudieri 

 

Lo sviluppo storico di Mosca è stato lento, e a tutt’oggi i suoi vari quartieri conservano magnificamente i tratti impressi su di loro dal lungo corso della storia. Il quartiere che si estende oltre la Moscova1, con le sue strade ampie e sonnacchiose, il susseguirsi uniforme di case con l’intonaco grigio, i tetti spioventi e i portoni sprangati giorno e notte, è da sempre la sede esclusiva della classe mercantile, nonché una roccaforte della setta scismatica, dispotica, formalista e apparentemente austera della «Vecchia fede»2. La cittadella, o Cremlino3, è ancora la fortezza di Chiesa e Stato; e l’immenso spazio che le si apre davanti, con le sue migliaia di botteghe e magazzini, è da secoli un brulicante alveare di commerci, e resta il cuore dei grandi traffici interni che abbracciano l’intera estensione del vasto impero. La Tverskaja ulitsa e il Kuzneckij most sono da secoli le aree in cui hanno sede i negozi eleganti4; mentre i quartieri artigiani di Pljuščicha e Dorogomolivo5 conservano gli stessi tratti che caratterizzavano i suoi chiassosi abitanti già ai tempi degli zar moscoviti. Ogni quartiere è un piccolo mondo a sé; ciascuno ha la sua fisionomia e conduce una vita separata. Persino le linee ferroviarie, irrompendo nell’antica capitale, hanno posizionato i propri depositi e macchinari, le locomotive e i vagoni stracarichi in aree specifiche ai margini della città vecchia.

Nondimeno, nessuna parte di Mosca è forse più tipica di quel labirinto di strade e vicoli puliti, tranquilli e tortuosi che si trova dietro il Cremlino, tra le due grandi arterie, la Arbat e la Prečistenka, e che è ancora chiamato Staraja Konjušennaja, il Vecchio Quartiere degli Scudieri6.

Una cinquantina d’anni fa era lì che viveva, e fu lì che lentamente si estinse, l’antica nobiltà moscovita, i cui nomi si trovano tanto spesso citati nelle pagine della storia russa prima dell’epoca di Pëtr I, ma che in seguito scomparvero per lasciare posto ai nuovi arrivati, «gli uomini di ogni rango» chiamati al servizio dello Stato dal suo fondatore. Constatando di essere stati soppiantati alla corte di San Pietroburgo, questi nobili di antico lignaggio si ritirarono nel Vecchio Quartiere degli Scudieri a Mosca, oppure nelle loro pittoresche tenute di campagna intorno alla capitale, da dove guardavano con una sorta di disprezzo e di invidia segreta la folla eterogenea di famiglie «venute dal nulla» che nella nuova capitale sulle sponde della Neva prendevano possesso delle più alte cariche di governo7.

Da giovani, molti di loro avevano cercato di farsi strada mettendosi al servizio dello Stato, perlopiù arruolandosi nell’esercito; ma per un motivo o per l’altro avevano rinunciato piuttosto in fretta, senza grandi avanzamenti di grado. I più fortunati si erano aggiudicati una carica appartata, in genere onoraria, nella città di nascita – mio padre era tra questi – mentre la maggioranza si congedava semplicemente dal servizio attivo. Ma ovunque fossero inviati, nel corso della loro carriera, nella vasta estensione della Russia, chissà come riuscivano sempre a trascorrere la vecchiaia in una casa di proprietà nel Vecchio Quartiere degli Scudieri, all’ombra della chiesa in cui erano stati battezzati e dove avevano pregato un’ultima volta per i loro genitori defunti.

Nuovi rami germogliarono da vecchi ceppi. Alcuni si distinsero in varie parti del paese; altri acquistarono case più lussuose, costruite nel nuovo stile, in vari quartieri di Mosca o San Pietroburgo; ma quelli che continuarono a vivere nel Vecchio Quartiere degli Scudieri, nelle vicinanze della chiesa verde, gialla, rosa o bruna legata ai ricordi familiari, erano considerati i veri rappresentanti della stirpe, a prescindere dalla collocazione personale sull’albero genealogico. Il capostipite tradizionale era trattato con grande rispetto – non privo, però, di una lieve sfumatura ironica – persino dai rappresentanti più giovani che avevano lasciato la città di nascita per perseguire una carriera più brillante nei reggimenti della Guardia di San Pietroburgo o nelle cerchie di corte. Ai loro occhi, era pur sempre lui a incarnare l’antichità della famiglia e le sue tradizioni.

In quelle strade tranquille, lontane dal rumore e dall’affanno della Mosca commerciale, le case avevano tutte lo stesso aspetto. Perlopiù erano di legno, con tetti di lamiera color verde acceso, le mura esterne abbellite da stucchi, colonne e portici; tutte erano intonacate con colori vivaci. La gran parte aveva un unico piano, con sette o nove grandi finestre luminose affacciate sulla strada. Un secondo piano era ammesso solo sul retro, rivolto verso un cortile spazioso circondato da una serie di piccole costruzioni che servivano da cucina, stalla, dispensa, rimessa, oltre che da alloggi per domestici e servi. Un grande cancello apriva su questi cortili, di solito con una targa di ottone che recitava: «Residenza del tenente colonnello o del comandante Tal dei Tali» – molto di rado generale maggiore o qualche altro titolo di pari importanza tra i ranghi amministrativi.

Ma quando sulla via si trovava una casa più lussuosa, impreziosita da inferriate dorate e da un cancello in ferro battuto, allora si poteva star certi che la targa d’ottone avrebbe riportato: «consigliere della camera di commercio» oppure «cittadino onorario» Tal dei Tali. Questi erano gli intrusi, venuti a stabilirsi senza invito nel quartiere, e dunque snobbati dai vicini storici.

Nessuna bottega era ammessa in queste vie esclusive, salvo in qualche piccola casetta di legno, di proprietà della parrocchia, che ospitava una minuscola drogheria o un piccolo spaccio alimentare; ma nell’angolo opposto c’era la garitta della guardia, e se di giorno la sentinella, con tanto di alabarda, stava sulla soglia per salutare con la sua arma inoffensiva gli ufficiali di passaggio, al calar del crepuscolo si ritirava all’interno, dandosi da fare come ciabattino oppure fabbricando le particolari miscele di tabacco da naso predilette dai servitori anziani del circondario.

La vita proseguiva tranquilla e pacifica – almeno a uno sguardo esterno – in questo Faubourg Saint-Germain in versione moscovita. Al mattino non si vedeva anima viva per le strade. Intorno alle dodici facevano la loro comparsa i bambini, sotto la tutela dei precettori francesi o delle governanti tedesche che li portavano a passeggio lungo i viali coperti di neve. Più tardi, nel pomeriggio, arrivavano le signore, su una slitta trainata da due cavalli, con un valletto in piedi su una trave posta di traverso all’estremità dei due pattini, oppure sprofondate all’interno di una carrozza vecchio stile, immensa e altissima, sospesa su grandi molle ricurve e con un tiro a quattro, il postiglione a cassetta e due valletti dietro. La sera quasi tutte le case erano sfarzosamente illuminate, e quando le imposte erano aperte i passanti potevano ammirare le partite a carte o i valzer in corso nei saloni. Le «opinioni» non erano in voga a quei tempi, e si era ancora lontani dagli anni in cui in ciascuna di quelle case sarebbe iniziata una lotta tra «padri e figli» – per concludersi di solito con una tragedia domestica o una visita notturna della polizia di Stato. Cinquant’anni fa sarebbe stato inconcepibile; allora tutto era quiete e serenità – almeno all’apparenza.

È stato nel Vecchio Quartiere degli Scudieri che sono nato, nel 1842, e là ho passato i primi quindici anni della mia vita8. Persino quando mio padre cedette la casa in cui era morta nostra madre per comprarne un’altra, e poi quando vendette anche quella e passammo vari inverni in affitto, finché lui non ne ebbe trovata una terza di suo gusto, a un tiro di schioppo dalla chiesa in cui era stato battezzato, restammo sempre e comunque entro il perimetro del Vecchio Quartiere degli Scudieri, lasciandolo solo durante l’estate per andare in villeggiatura.