Box-Car Bertha e le sorelle della strada prefazione
Libro
Box-Car Bertha e le sorelle della strada
Reitman
PROSSIMA USCITA
gio 13 nov 2025

Prefazione
(2002)
di Barry Pateman
Dato l’innegabile successo di questa «autobiografia» di Box-Car Bertha, originariamente pubblicata nel 1937 e continuamente ristampata e tradotta, mi sono sentito in dovere di chiarire che in realtà è un’opera di finzione. Il che non toglie nulla al valore del libro, anzi lo rende ancora più interessante, soprattutto se si conosce qualcosa di più sul vero autore, un individuo straordinario e affascinante.
Ben L. Reitman (1879-1942) fu, in diversi momenti della sua vita, un hobo1, un ginecologo, uno scrittore, un agitatore anarchico e – in un’epoca in cui era considerato sovversivo e scandaloso – un attivista per il controllo delle nascite. A dodici anni viaggiava già clandestinamente sui treni d’America. In seguito lavorò su un piroscafo che toccava i porti europei e africani. Tornato in America, si formò come medico, pulì carri bestiame e frequentò assiduamente giocatori d’azzardo, rapinatori, prostitute e ladri. Ascoltava e imparava. Conobbe molte prigioni e fu irresistibilmente attratto dalla vita nomade, con il suo strano miscuglio di cameratismo e miseria, di intelligenze straordinarie e cupe alienazioni. Al di là di incoraggiarlo a vivere l’attimo, le sue esperienze gli consentirono di smussare il suo ego, maturando la convinzione che le persone particolari con cui viveva e viaggiava fossero individui come tutti gli altri. Profondamente consapevole delle proprie debolezze, non mostrò mai alcun desiderio di adeguarsi a quella società «rispettabile» che tanto li disprezzava. Al contrario, lui li trattava da pari sia sul piano personale che professionale, ben consapevole dei loro difetti (che erano anche i suoi) ma anche delle loro virtù.
Nel 1906 Reitman aderì all’International Brotherhood Welfare Association nel suo tentativo di sostenere i lavoratori itineranti attraverso attività educative. All’interno di questa associazione fondò la sezione di Chicago degli Hobo Colleges, l’università dei vagabondi, dove si tenevano regolarmente lezioni di economia, diritto del lavoro e scienze sociali. E in quell’attività eccelleva. Quasi un secolo dopo possiamo provare a immaginarlo: un perfetto artista politico della performance. Organizzava banchetti per senzatetto, guidava manifestazioni di disoccupati, coordinava laboratori sociologici dove i vagabondi raccontavano le proprie storie con le proprie parole. Reitman, soprannominato Doc, iniziò un corteggiamento instancabile della stampa – forse il rapporto più duraturo della sua vita.
Conobbe Emma Goldman nel 1908 e divenne il suo amante. Presto tornò sulla strada come organizzatore dei suoi tour. Fu picchiato e marchiato a fuoco dai cittadini «rispettabili» di San Diego nel 1912, e scontò sei mesi di prigione a Cleveland nel 1918 per aver diffuso informazioni sul controllo delle nascite (dopo anni di assistenza concreta alle donne). Fu lui la forza trainante dietro gli innumerevoli tour di conferenze di Goldman in tutta l’America (tra il 1908 e il 1917) e la diffusione di migliaia di libri, giornali e opuscoli sovversivi. Spinto dai propri demoni, regolarmente infedele a Goldman e altalenante nei suoi rapporti con Alexander Berkman e gli altri membri della rivista anarchica «Mother Earth», riuscì tuttavia, grazie alle sue capacità organizzative, a rendere le idee anarchiche accessibili a persone che altrimenti non le avrebbero mai incontrate.
Uscito di prigione nel 1919, tornò a Chicago – la sua città, la sua vita. Quello che i sociologi e i marxisti definivano lumpenproletariat tornò a essere il suo mondo vitale. Con i capelli lunghi e l’abito troppo grande, rientrò all’Hobo College, che lo aveva rinnegato quando aveva iniziato la sua relazione con Goldman. Cercava fondi ovunque, lottava contro funzionari e burocrati, e quasi ogni anno doveva trasferire il College perché violava qualche regolamento locale o irritava i vicini. Ma divenne un rispettato trait d’union tra il mondo accademico e quello della strada.
Senza di lui, Nels Anderson non avrebbe mai scritto il suo celebre On Hoboes and Homelessness, ancora oggi lo studio più completo e dettagliato sulla vita dei vagabondi – e questo nonostante Ben abbia continuato a prendere in giro i sociologi fino alla sua morte.
Reitman amava ascoltare i racconti ironici e bizzarri della vita di strada e le storie personali di coloro che frequentavano il suo ambulatorio o che incontrava da qualche parte, come gli hoboes omosessuali che nascondevano la loro identità o il vagabondo che pur amando i bambini aveva ucciso una ragazzina.
Tenne conferenze al Dill Pickle Club negli anni Venti e a Bughouse Square negli anni Trenta. Il Dill Pickle, fondato nel 1919 come «la più grande università del mondo dove tutti gli ismi, le teorie, le fantasie e altre cose possono avere voce», era il suo palcoscenico naturale. Lì parlava delle sue esperienze come «re dei vagabondi» e «medico dei bordelli». Ma di fatto girava freneticamente per parlare ovunque, e proprio per questo era cronicamente infedele. Oltre a battersi contro la diffusione della sifilide, sollecitò il servizio sanitario di Chicago, con cui collaborava, a promuovere la contraccezione maschile: fu licenziato perché ritenuto troppo estremo e troppo volgare. Ma a quel punto era già una leggenda.
Sister of the Road: The Autobiography of Box-Car Bertha, pubblicato nel 1937, fu il suo secondo libro. Il primo, The Second Oldest Profession (1931), era uno studio sui papponi divagante ed eccentrico, ma intriso di un realismo potente e di un sano buon senso. Sister of the Road [Sorelle della strada] scavò ulteriormente nelle sue esperienze. Le recensioni non furono entusiaste, anzi parole come «degradante» e «perverso» vennero usate da più di un critico.
Il personaggio di Bertha Thompson è in realtà un amalgama di almeno tre donne che Ben aveva conosciuto, anche se la storia è soprattutto basata su una donna di nome Retta Toble, amante di Ben per alcuni mesi e sua amica per anni. Reitman la descrisse come «giovane, bella e giocosa». I suoi genitori erano allevatori di pecore e militanti radicali del South Dakota. Per un periodo sua madre era stata una vagabonda, e Retta ne proseguì la tradizione. Sebbene scritto come un’autobiografia, il libro è molto più di questo: è il distillato di centinaia e centinaia di conversazioni avute in bar, bordelli, carri merci, prigioni, oltre che nel suo ambulatorio. Ma in un certo senso è anche quell’autobiografia che Ben non completò mai: gli eventi della vita di Bertha rispecchiano troppo da vicino quelli capitati a Ben per essere semplici coincidenze. Questo non sminuisce affatto il libro. Tutt’altro. Quando leggiamo Il caso del compagno Tulaev di Victor Serge, sappiamo che è vero quanto qualsiasi opera storica: i personaggi che affrontano la disperazione, l’esilio, la tortura e persino la morte per le loro convinzioni rappresentano milioni di altri che hanno vissuto davvero quelle esperienze. Le loro esperienze sono vere quanto la storia. Ed è così anche per Sister of the Road. Leggendolo, viviamo – attraverso la vita di Bertha – la storia di migliaia di persone che hanno viaggiato, lottato e imparato dalla vita cosa fosse giusto fare. Spinta dal proprio desiderio di sperimentare tutte le emozioni e passioni dell’esistenza, Bertha assurge a simbolo di una vasta fetta di umanità. Così, da questo libro impariamo più che da qualsiasi manuale o trattato politico. Reitman lo sapeva, e il suo libro celebra, più di molti altri, quella che possiamo chiamare la condizione umana.
Un necrologio anonimo di Ben – scritto in realtà dal leggendario truffatore Yellow Kid Weil – recitava: «Reitman rappresentava il tipo di filosofo che offre il dolce e inebriante sorso della speranza al viandante stanco, assetato, affamato che avanza lungo la polverosa strada della vita». Lo stesso si può dire di questo libro.
Nota al capitolo
1. Per hobo si intende il lavoratore migrante e senza fissa dimora che si spostava spesso clandestinamente sui treni merci in cerca di impiego, specialmente nel contesto della Grande Depressione.